Sinossi

In questa galleria i bambini sono rappresentati attraverso gli stereotipi che l’immaginario attribuisce ai diversi animali. C’è quello che non sta mai fermo, quello che si infiamma e prende il mondo di petto, quello riflessivo che sta a guardare: bimbopesce, bimbotoro, bimboscimmia, bimbotalpa, bimboleone, bimbozanzara e così via. Se la narrazione si limitasse a questo sarebbe, a mio avviso, molto parziale: i bambini sanno essere mille animali contemporaneamente, ed ognuno ha un modo personale ed unico di declinare la medesima inclinazione. Tuttavia, la preoccupazione di rispondere alla domanda non posta riguardante la felicità di ognuno dà al testo una originalità che riguarda l’accettazione del bambino e la valorizzazione del suo essere, come a dire: non mi interessa (solo) definire chi sei, ma parto da lì per aiutarti ad essere felice. Ad esempio, la definizione di bimbozanzara che tocca, gira, dà fastidio potrebbe sembrare un giudizio tranchant, ma non lo è se aggiungiamo «per far felice un bimbozanzara devi… dargli un orecchio ogni tanto in cui fare zzz… zzz». Il percorso quindi diventa una sorta di esortazione alla comprensione e all’empatia nel confronti del bambino, nel rispetto della sua natura. Il testo si rivolge dunque esclusivamente agli adulti (anche se può essere un valido supporto per la riflessione sull’identità personale in età scolare), forse in particolare a chi con i bambini lavora, come suggerisce con delicatezza la tavola finale: «E tu? Tu, dimmi un po’… Che bimbo sei?»

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